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view post Posted on 11/6/2012, 15:03

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The Quantum And The Lotus

Matthieu Ricard & Trinh Xuan Thuan
 
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view post Posted on 3/8/2012, 02:44

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view post Posted on 19/8/2012, 23:46

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Do not make the mistake of supposing that the little world you see
around you — the Earth, which is a mere grain of dust in the Universe —
is the Universe itself. There are millions upon millions of such worlds, and greater. And there are millions of millions of such Universes in
existence within the Infinite Mind of THE ALL. And even in our own little
solar system there are regions and planes of life far higher than ours,
and beings compared to which we earth-bound mortals are as the slimy
life-forms that dwell on the ocean's bed when compared to Man. There
are beings with powers and attributes higher than Man has ever dreamed
of the gods' possessing. And yet these beings were once as you, and still
lower — and you will be even as they, and still higher, in time, for such is
the Destiny of Man as reported by the Illumined.

Keep your mind ever on the Star, but let your
eyes watch over your footsteps, lest you fall into the mire by reason of
your upward gaze.

Remember the Divine Paradox, that while the
Universe IS NOT, still IT IS. Remember ever the Two Poles of Truth — the
Absolute and the Relative. Beware of half-Truths.

Absolute Truth has been defined as
"Things as the mind of God knows them," while Relative Truth is "Things
as the highest reason of Man understands them." And so while to THE
ALL the Universe must be unreal and illusionary, a mere dream or result
of meditation — nevertheless, to the finite minds forming a part of that
Universe, and viewing it through mortal faculties, the Universe is very
real indeed, and must be so considered. I
 
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view post Posted on 20/8/2012, 00:15

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Our business in the Universe is not to deny its existence, but to LIVE. using
the Laws to rise from lower to higher — living on, doing the best that we
can under the circumstances arising each day, and living, so far as is
possible, to our highest ideas and ideals.The true Meaning of Life is not
known to men on this plane — if, indeed, to any — but the highest
authorities, and our own intuitions, teach us that we will make no
mistake in living up to the best that is in us, so far as is possible, and
realizing the Universal tendency in the same direction in spite of
apparent evidences to the contrary. We are all on The Path — and the
road leads upward ever, with frequent resting places.

To take a modern example, let us say that Othello, Iago, Hamlet,
Lear, Richard III, existed merely in the mind of Shakespeare, at the time
of their conception or creation. And yet, Shakespeare also existed within
each of these characters, giving them their vitality, spirit, and action.
Whose is the "spirit" of the characters that we know as Micawber, Oliver
Twist, Uriah Heep — is it Dickens, or have each of these characters a
personal spirit, independent of their creator? Have the Venus of Medici,
the Sistine Madonna, the Appollo Belvidere, spirits and reality of their
own, or do they represent the spiritual and mental power of their
creators? The Law of Paradox explains that both propositions are true,
viewed from the proper viewpoints. Micawber is both Micawber, and yet
Dickens. And, again, while Micawber may be said to be Dickens, yet
Dickens is not identical with Micawber. Man, like Micawber, may
exclaim: "The Spirit of my Creator is inherent within me — and yet I am
not HE!" How different this from the shocking half-truth so vociferously
announced by certain of the half-wise, who fill the air with their raucous
cries of: "I Am God!" Imagine poor Micawber, or the sneaky Uriah Heep,
crying: "I Am Dickens"; or some of the lowly clods in one of Shakespeare’s
plays, grandiloquently announcing that: "I Am Shakespeare!" THE ALL is
in the earth-worm, and yet the earth-worm is far from being THE ALL
And still the wonder remains, that though the earth-worm exists merely as a lowly thing, created and having its being solely within the Mind of
THE ALL — yet THE ALL is immanent in the earth-worm, and in the
particles that go to make up the earth-worm. Can there be any greater
mystery than this of "All in THE ALL; and THE ALL in All?"

"As
above, so Below; as Below, so above."

Thus the upward movement begins — and all begins to move
Spiritward. Matter becomes less gross; the Units spring into being; the
combinations begin to form; Life appears and manifests in higher and
higher forms; and Mind becomes more and more in evidence — the
vibrations constantly becoming higher. In short, the entire process of
Evolution, in all of its phases, begins, and proceeds according to the
established Laws of the "Indrawing" process. All of this occupies aeons
upon aeons of Man's time, each aeon containing countless millions of
years, but yet the Illumined inform us that the entire creation, including
Involution and Evolution, of an Universe, is but "as the twinkle of the
eye" to THE ALL. A

Edited by Novox - 20/8/2012, 02:25
 
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view post Posted on 30/11/2020, 22:17
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"Che il mio “sistema” si possa definire “gnostico” è una trovata dei teologi che mi criticano.
Inoltre io non ho alcun “sistema”.
Io non sono un filosofo, ma soltanto un empirista.
Gli gnostici hanno il merito di aver sollevato il problema del πόϑεν τὸ κακόν [da dove viene il male?]. Valentino e anche Basilide sono, a mio avviso, grandi teologi, che hanno cercato di risolvere i problemi sollevati dall’inevitabile affluire dell’inconscio collettivo, una realtà descritta chiaramente dal Vangelo “gnostico” di Giovanni e da Paolo, per non parlare dell’Apocalisse di Giovanni, e persino da Cristo stesso (il fattore infedele e il Codice Bezae di commento a Luca 6.4).
Nello stile proprio del loro tempo, essi ipostatizzarono le loro idee, trasformandole in entità metafisiche. La psicologia certamente non ipostatizza quelle idee, ma le considera enunciati psicologici su importanti fattori inconsci o modelli di tali fattori che sono inaccessibili all’esperienza immediata. La conoscenza scientifica non può andare molto oltre. Oggi molte persone sono incapaci di credere a un’affermazione che non riescono a comprendere, e sono molto grate alla psicologia per l’aiuto che può offrire, mostrando loro che il comportamento dell’uomo è profondamente influenzato da archetipi numinosi. Ciò permette loro di comprendere almeno in parte perché e come il fattore religioso abbia un ruolo importante. Inoltre offre loro i modi e gli strumenti per riconoscere l’azione delle idee religiose sulla loro psiche.
Devo confessare che io stesso ho trovato accesso alla religione solo attraverso la comprensione psicologica di esperienze interiori, mentre le interpretazioni religiose tradizionali mi lasciavano del tutto indifferente. È stata solo la psicologia che mi ha aiutato a superare la spiacevole impressione che avevo avuto da giovane, che tutto ciò che è falso, e persino immorale, nel nostro mondo empirico quotidiano, sul piano religioso si dovesse considerare la verità eterna. [...]
Ci sono moltissimi problemi che ho potuto chiarirmi solo grazie alla comprensione psicologica. Ho amato gli gnostici nonostante tutto, perché hanno riconosciuto la necessità di qualche ulteriore raisonnement, del tutto assente nel cosmo cristiano. Perlomeno loro erano umani, e quindi comprensibili. Ma io non ho nessuna γνώσιϛ του ϑεοῦ. Io conosco la realtà dell’esperienza religiosa e di alcuni modelli psicologici che permettono una limitata comprensione. Ho gnosis solo in quanto ho esperienza diretta, e i miei modelli poggiano in larga misura sulle représentations collectives di tutte le religioni. [...]
come psicologo io non mi occupo direttamente di teologia, ma piuttosto dei comuni lettori incompetenti e delle loro convinzioni errate e scorrette, che comunque per loro sono altrettanto reali, quanto lo sono per i teologi le loro competenti opinioni. I miei pazienti mi fanno costantemente domande “teologiche”, e quando dico che sono solo un medico e che dovrebbero chiedere al teologo, in genere la risposta è: “Oh, sì, l’abbiamo fatto”, oppure: “Non chiediamo a un prete, perché avremmo una risposta che conosciamo già e che non spiega niente.”
Questa è quindi la ragione per cui io, bene o male, devo provare ad aiutare i miei pazienti ad arrivare almeno a una specie di comprensione. Essa offre loro un certo appagamento, come l’ha offerto a me, sebbene sia per ammissione generale inadeguata. Ma per loro è come se qualcuno stesse parlando il loro linguaggio e comprendesse le loro domande, che essi in realtà prendono molto sul serio. [...]
La gnosi è caratterizzata dall’ipostatizzazione di appercezione psicologica, cioè dall’integrazione di contenuti archetipici che trascendono la “verità” rivelata nei Vangeli. Ippolito mette ancora la filosofia classica greca insieme alle filosofie gnostiche e le reputa punti di vista perfettamente plausibili. La gnosi cristiana per lui era soltanto la migliore e la più alta di tutte.
Chi mi definisce uno “gnostico”, non riesce a capire che io sono uno psicologo e descrivo le modalità del comportamento psicologico esattamente come un biologo descrive le azioni istintive degli insetti. Egli non crede ai princìpi della filosofia delle api.
Quando mostro le analogie tra i sogni e le fantasie gnostiche, non credo in nessuno dei due. Sono solo dati di fatto, e non c’è alcun bisogno di credervi o di ipostatizzarli. Uno psichiatra non è necessariamente pazzo perché analizza e descrive i deliri dei malati di mente, come uno studioso del Tripitaka non è necessariamente un buddhista."
[(Nota dalle Opere Complete edite da Boringhieri) Estratti da Jung and the Problem of Evil di H.L. Philp (Londra 1958). Il libro raccoglie la corrispondenza, sotto forma di domande e risposte (in inglese), tra l’autore e Jung, e un ampio attacco critico di 175 pagine agli scritti di Jung sulla religione, con particolare riferimento a Risposta a Giobbe cit. Si conclude con le risposte di Jung alle domande inviategli da un altro suo corrispondente, il reverendo David Cox (autore di Jung and St. Paul, 1959). In entrambi i casi le risposte sono qui riportate con lievi modificazioni stilistiche e con l’aggiunta di note a piè di pagina. I riferimenti bibliografici alle opere di Jung sono stati aggiornati. Per le altre lettere inviate da Jung a Philp, vedi Briefe, vol. 3.]
"Perché si dà tanta importanza al fatto che io sia gnostico o agnostico? Perché non si dice semplicemente che sono uno psichiatra cui preme anzitutto esporre e interpretare il suo materiale sperimentale? Io cerco appunto di studiare i fatti e di avvicinarmi il più possibile alla loro comprensione.
La critica non deve contentarsi di passare sui miei lavori a volo d’uccello, per poi attaccarne singole frasi avulse dal loro contesto.
In appoggio alla sua diagnosi, Buber utilizza una mia colpa giovanile che risale a quasi quarant’anni fa, quando io commisi il misfatto di scrivere una poesia nella quale esprimevo in stile “gnostico” determinate vedute psicologiche.
Allora studiavo con entusiasmo gli gnostici, e il mio entusiasmo si basava sulla scoperta che quei pensatori erano stati i primi, a quanto mi sembrava, a occuparsi (a modo loro) dei contenuti del cosiddetto inconscio collettivo.
Feci stampare la poesia con uno pseudonimo e ne mandai alcuni esemplari a conoscenti, senza presagire che essa avrebbe testimoniato contro di me in un processo intentatomi per eresia.
Mi permetto di far presente al mio critico che io sono stato tacciato non soltanto di gnosticismo e del suo contrario, ma anche anche di ateismo e teismo, di misticismo e materialismo.
Nel concerto di opinioni così differenti, non voglio dare troppa importanza a quel che io penso di me stesso; citerò invece un giudizio pronunciato su di me da fonte direi non sospetta, cioè l’articolo di fondo del “British Medical Journal” del 9 febbraio 1952: “Prima i fatti e poi la teoria: questa è la nota dominante del lavoro di Jung. Egli è, tutto sommato, un empirista.” Questo punto di vista ha la mia approvazione.
Chi non conosce i miei lavori, si domanderà certamente come mai si possano avere sullo stesso soggetto opinioni a tal punto opposte. Va detto che esse sono tutte escogitate da “metafisici”, cioè da persone che per qualche motivo credono di essere al corrente di cose inconoscibili dell’aldilà.
Io non ho mai osato affermare che simili cose non esistono, ma non ho neanche mai osato pensare che una delle mie asserzioni in qualche modo tocchi о soltanto rappresenti correttamente quelle cose. Dubito che le idee che ci facciamo delle cose siano in sé identiche alla natura delle cose stesse, e questo per ovvi motivi scientifici.
Ora, dato che nella psicologia empirica le idee e le opinioni su oggetti metafisici о religiosi rappresentano una parte molto importante, mi vedo costretto, per motivi pratici, a usare concetti corrispondenti. Mi rendo conto di avere qui a che fare con concezioni antropomorfe e non con dèi о angeli reali, sebbene simili immagini (archetipiche) si comportino, grazie alla loro energia specifica, in modo così autonomo che da un punto di vista metaforico si potrebbero definire “demoni psichici”.
Questa faccenda dell’autonomia va presa molto sul serio, in primo luogo dal punto di vista teorico, in quanto essa esprime la dissociabilità e la dissociazione di fatto della psiche, e in secondo luogo da quello pratico, in quanto essa costituisce il fondamento del confronto dialettico fra l’Iо e l’inconscio, cioè una parte capitale del metodo psicoterapeutico.
Chiunque abbia qualche nozione della struttura psicologica di una nevrosi sa che il conflitto patogeno poggia sul contrasto tra l’inconscio e la coscienza. Le cosiddette “potenze dell’inconscio” non sono “concetti” intellettuali da manipolare arbitrariamente, bensì pericolosi avversari capaci talvolta di cagionare spaventose devastazioni nеll’есоnоmіа della personalità. Esse sono tutto ciò che si può desiderare о temere in fatto di “confronto” psichico.
Infatti il profano presume di aver a che fare con
un’oscura malattia organica, ma il teologo, che sospetta che dietro ci sia il diavolo, è molto più vicino alla verità psichica.
Temo che, per comprensibile ignoranza dell’esperienza psichiatrica, Buber non capisca che cosa io intenda per “realtà della psiche” e per processo dialettico d’individuazione. L’Io cioè si oppone in primo luogo a potenze psichiche che fin dal tempo dei tempi portano nomi sacri, e che perciò sono sempre state identificate con esistenze metafisiche. L’analisi dell’inconscio ha già da un pezzo dimostrato la presenza di queste “potenze” nella forma d’immagini archetipiche, che però non s’identificano con i corrispondenti concetti del pensare. Si può credere che i concetti della coscienza siano, grazie all’ispirazione dello Spirito Santo, rappresentazioni dirette e precise del loro oggetto metafisico.
Naturalmente questa convinzione è possibile soltanto per colui che possiede il carisma della fede. Di questo bene purtroppo non posso vantarmi; ragion per cui, se asserisco qualcosa a proposito di un arcangelo, non pretendo con questo di aver stabilito alcunché sul piano metafisico. Ho piuttosto pronunciato un giudizio su una cosa sperimentale, cioè su una delle molto percettibili “potenze dell’inconscio”.
Queste sono “tipi” numinosi: contenuti, processi e dinamismi inconsci e, se così si può dire, trascendenti-immanenti. Dato che il mio unico mezzo di conoscere è l’esperienza, non posso varcare questo confine e perciò non posso immaginare di aver centrato con la mia descrizione il ritratto di un vero arcangelo metafisico.
Ho soltanto rappresentato un fattore psichico che ha certamente un’influenza importante sulla coscienza. In forza della sua autonomia, esso costituisce una posizione opposta all’Io soggettivo, in quanto rappresenta una parte della psiche oggettiva. Lo si può perciò chiamare un “tu”, la cui realtà mi è testimoniata dai fatti addirittura diabolici del nostro tempo: i sei milioni di ebrei trucidati, le innumerevoli tribolazioni inferte dallo schiavismo sovietico e l’invenzione della bomba atomica, tanto per fare alcuni esempi del lato tenebroso.
D’altronde, ho anche visto quel che si esprime con le parole bellezza, bontà, saggezza e grazia. Queste esperienze degli abissi e delle vette della natura umana giustificano l’uso metaforico del termine daimon.
Occorre tenere presente che io mi occupo di quei fenomeni psichici che si possono indicare empiricamente come base di “concetti” metafisici, e che se dico ad esempio: “Dio”, generalmente generalmente non posso riferirmi a null’altro che a modelli psichici verificabili, che colpiscono per la loro sconvolgente realtà. Se qualcuno trovasse ciò poco credibile, vada a fare un giro in un ospedale psichiatrico, e si guardi attentamente intorno.
La “realtà della psiche” è la mia ipotesi di lavoro, e la mia principale attività consiste nel radunare, descrivere e spiegare un materiale oggettivo. Non ho costruito né un sistema, né una teoria generale, ma formulato soltanto concetti ausiliari che mi servono da strumenti, come avviene per qualunque scienza. Se il signor Buber scambia il mio empirismo per gnosticismo, tocca a lui dimostrare che i fatti da me descritti non sono che invenzioni. Se questa dimostrazione sul materiale empirico dovesse riuscirgli, allora sì, sarei uno gnostico.
Ma allora il mio critico si troverebbe nella scomoda situazione di dover rigettare, quali autosuggestioni, tutti gli accadimenti religiosi. Per ora resto dell’idea che il giudizio di Buber sia errato, il che è evidente anzitutto per il fatto che, come sembra, egli non riesce a comprendere come un “contenuto psichico autonomo” quale l’immagine di Dio possa opporsi all’Io, e come un simile rapporto non sia privo di vitalità.
Non è certamente compito di una scienza sperimentale stabilire fino a che punto un simile contenuto psichico sia prodotto e determinato dall’esistenza di una divinità metafisica. Ciò concerne la teologia, la rivelazione e la fede.
Il mio critico sembra non rendersi conto che egli stesso, quando parla di Dio, pronuncia asserzioni tratte prima dalla sua coscienza e poi dai suoi presupposti inconsci. Di quale Dio metafisico parli, non so; se è ebreo ortodosso, parla della divinità che non ha ancora rivelato la sua Incarnazione avvenuta nell’anno 1. Se è cristiano, sa che Dio si è fatto uomo, cosa di cui Yahwèh non lascia ancora supporre nulla. Non dubito che egli sia convinto di essere in relazione vivente con un divino “Tu”, ma rimango dell’opinione che questa relazione vada per prima cosa verso un contenuto psichico autonomo che egli definisce in un modo e il papa in un altro.
Tuttavia non mi permetto minimamente di giudicare se e fino a che punto sia piaciuto a un Dio metafisico manifestarsi all’ebreo credente come il Dio che precede l’Incarnazione, a Padri della Chiesa come l’Uno e Trino che la seguì, ai protestanti come l’unico Salvatore senza una “Corredentrice”, e all’attuale papa come l’unico Salvatore con una “Corredentrice”. О dobbiamo mettere in dubbio che i rappresentanti rappresentanti di altre credenze, compresi l’Islam, il buddhismo, l’induismo, il taoismo ecc., abbiano la stessa relazione vivente con “Dio” – sia detto nirvana о Tao – che Buber ha con il concetto di Dio a lui particolare?
È strano che Buber si scandalizzi della mia affermazione che Dio non può esistere separato dall’uomo, considerandola un’asserzione trascendente. Dirò allora espressamente che tutto, assolutamente tutto quel che asseriamo su “Dio” è asserzione umana, cioè psichica. Come mai l’immagine che abbiamo о ci facciamo di Dio non è mai “separata dall’uomo?”
Può Buber indicarmi dove Dio ha fatto la sua propria immagine separata dall’uomo? Come e da chi può essere costatata una cosa simile? Per una volta, voglio qui speculare, cioè “poetare”: Dio ha certamente fatto, senza l’aiuto dell’uomo, un’immagine di Sé incomprensibilmente sublime e al tempo stesso terribilmente contraddittoria, e l’ha situata come un archetipo, un ἀρχέτυπον φῶς, nell’inconscio, non già perché i teologi d’ogni tempo e luogo vi si accapiglino sopra, ma perché l’uomo libero senza arroganza possa, nel silenzio della sua anima, guardare a un’immagine a lui affine, fatta della sua propria sostanza psichica, che in sé raccolga tutto quello che egli è capace di escogitare sui suoi dèi о sulle pieghe nascoste della sua anima.
Questo archetipo, la cui esistenza è confermata non soltanto dalla storia dei popoli ma anche dall’esperienza psicologica di ciascun individuo, mi è perfettamente sufficiente. È così vicino all’umano e tuttavia così estraneo e diverso e, come tutti gli archetipi, d’altissimo effetto determinante; ed è senz’altro indicato confrontarsi con lui. Il rapporto dialettico con i contenuti autonomi dell’inconscio collettivo costituisce dunque, come abbiamo detto, parte essenziale della terapia.
Buber sbaglia nel supporre che io “elabori” asserzioni metafisiche partendo da “una visione fondamentale gnostica”. Non si può scambiare un risultato empirico con una premessa filosofica, perché esso non è ottenuto per via deduttiva, bensì derivato da un materiale clinico oggettivo. Raccomanderei al mio critico di leggere qualche biografia di malati di mente, come per esempio Wisdom, Madness and Folly di John Custance (Londra 1951) oppure Memorie di un malato di mente di D. P. Schreber (Lipsia 1903), i cui autori certamente non sono partiti da premesse gnostiche, gnostiche, come non ne sono partito io; oppure di leggere l’analisi di un soggetto mitico, per esempio l’eccellente lavoro del suo vicino di Tel Aviv, il dottor Erich Neuman (su Apuleio, Amore e Psiche, Zurigo 1952).
Quando affermo che esistono un’analogia e una stretta affinità tra i prodotti dell’inconscio e certe idee metafisiche, mi baso sulla mia esperienza professionale. Posso a questo proposito far notare che conosco un alto numero di autorevoli teologi di osservanza cattolica e protestante che comprendono senz’altro il mio punto di vista empirico. Perciò non ho alcun motivo di ritenere il mio modo di esprimermi tanto fallace quanto vorrebbero far credere le insinuazioni di Buber.
Vorrei ricordare un altro equivoco che ho spesso incontrato, e che riguarda la singolare congettura in base alla quale se le proiezioni fossero “ritirate”, dell’oggetto non rimarrebbe nulla. Correggendo i miei giudizi sbagliati su di una persona, non per questo l’ho rinnegata e fatta sparire; al contrario, la vedo adesso approssimativamente com’è, cosa che non può essere che utile a un rapporto. Ora, se sono dell’idea che tutte le affermazioni in merito a Dio provengano in primo luogo dalla psiche e vadano pertanto distinte dall’ente metafisico, io non nego Dio né metto l’uomo al posto di Dio.
Mi riesce sgradevole, lo confesso apertamente, dover pensare che ogni volta che un predicatore cita la Bibbia о esprime le sue varie opinioni religiose, il Dio metafisico in persona parli per bocca sua. La fede è certamente una cosa sublime, se la si possiede, e la scienza della fede è forse più perfetta di quanto potremo mai raggiungere con il nostro impacciato e asmatico empirismo. L’edificio della dogmatica cristiana per esempio sta senza dubbio su un gradino molto più alto dei philosophoúmena un po’ primitivi degli gnostici. I dogmi sono strutture pneumatiche di somma bellezza e di significato meraviglioso, dei quali mi sono occupato a mio modo.
Accanto ad essi i nostri tentativi scientifici di produrre modelli della “psiche oggettiva” non sono gran cosa. Sono terra terra, contraddittori, incompleti, insoddisfacenti dal punto di vista logico ed estetico. I concetti scientifici e specialmente medico-psicologici non derivano da princìpi intellettuali netti e decorosi, ma risultano dal lavoro quotidiano, compiuto nelle miserie della banale esistenza umana e delle sue tribolazioni.
I concetti empirici sono di natura irrazionale. Il filosofo che li critica come se fossero concetti filosofici, combatte contro contro i mulini a vento e cade, come Buber col concetto del Sé, nelle massime difficoltà. I concetti empirici sono nomi per indicare i complessi di fatti presenti. Di fronte allo spaventoso paradosso della nostra esistenza, è comprensibile che l’inconscio contenga un’immagine di Dio adeguatamente contraddittoria che non concorda con la bellezza, sublimità e purezza del concetto dogmatico di Dio. Il Dio di Giobbe e del Salmo 89 è certamente qualcosa di più vicino alla realtà, e non si accorda male, nel suo comportamento, con l’immagine di Dio nell’inconscio, che con il suo simbolismo dell’Ánthropos va proprio nel senso dell’idea dell’Incarnazione.
Non mi sento responsabile se, dai tempi dell’Antico Testamento, la storia dei dogmi ha fatto qualche progresso. Io non predico una nuova religione; per far ciò dovrei perlomeno richiamarmi, secondo l’uso tradizionale, a una rivelazione divina.
Sono essenzialmente un medico che ha a che fare con la malattia dell’uomo e del suo tempo, intento alla ricerca dei rimedi corrispondenti alla realtà del dolore. Libero Buber, e liberi tutti i teologi, di guarire i miei pazienti con la “parola”, lasciando da parte la mia odiosa psicologia.
Accolgo i loro tentativi a braccia aperte; ma, dato che alla cura animarum spirituale non si accompagna sempre il successo desiderato, i medici che non hanno sottomano niente di meglio di quella modesta “gnosi” che offre loro l’empirismo, per ora hanno ancora da lavorare. O uno dei miei critici conosce qualche cosa di più efficace?
I medici si trovano in una situazione penosa, poiché con l’espressione “si dovrebbe”, purtroppo non si ottiene niente. Non possiamo pretendere dai nostri pazienti, anche se la possediamo noi, la fede che essi rifiutano perché non la comprendono о perché essa non dice loro niente. Le possibilità di guarigione presenti nella natura del malato sono la nostra unica risorsa e non possiamo soffermarci a considerare se esse portino con sé modi di vedere che si accordano о meno con credenze о filosofie riconosciute. Il mio materiale oggettivo sembra contenere un po’ di tutto, consta cioè di elementi primitivi, occidentali e orientali. Quasi non c’è mitologema che non sia occasionalmente sfiorato, né eresia che non vi lasci un po’ della sua stravaganza. Forse è questa la composizione dello strato profondo collettivo della psiche umana.
Può darsi che a questo punto l’intellettuale e il razionalista felicemente credenti inorridiscano, accusandomi del più empio eclettismo, come se io avessi inventato i fatti della storia naturale e spirituale dell’umanità e ne avessi tratto un orribile miscuglio teosofico. Chi ha una fede, e preferisce parlare in termini filosofici, non ha certamente bisogno di darsi pena dei fatti, ma un medico non può eludere la terribile realtà della natura umana. È certamente difficile che le mie formulazioni siano comprese nel senso giusto dai rappresentanti di sistemi tradizionali.
Così ugualmente, uno gnostico non sarebbe affatto contento di me; anzi mi rimprovererebbe la mancanza di una cosmogonia e la mia gnosi messa giù alla buona in relazione ai fenomeni che si svolgono nel pleroma. Un buddhista mi biasimerebbe dicendomi abbagliato dalla māyā, un taoista mi taccerebbe di complicatezza. Un cristiano ortodosso non potrebbe non trovare a ridire sul mio modo di navigare, incurante e irrispettoso, nel cielo delle idee dogmatiche. Devo perciò pregare i miei critici spietati di voler tenere presente che io parto da fatti, che cerco d’interpretare."
(C. G. Jung, "Risposta a Martin Buber" [Scritta il 22 febbraio 1952 come “lettera al direttore” e pubblicata con il titolo Religion und Psychologie in: “Merkur” (Stoccarda), vol. 6, N. 5 (maggio 1952).])
"Come ogni scienza empirica, anche la mia psicologia ha bisogno di concetti ausiliari, ipotesi e modelli. Tanto il teologo quanto il filosofo incorrono facilmente nell’errore di vedervi assiomi metafisici.
L’atomo di cui parla il fisico non è un’ipostasi metafisica, ma un modello. Allo stesso modo, il mio concetto dell’archetipo о dell’energia psichica è soltanto un’idea ausiliare che può sempre essere sostituita da una formula migliore.
I miei concetti empirici sarebbero, visti filosoficamente, 'monstra' logici, e io come filosofo farei una triste figura. Da un punto di vista teologico, il mio concetto di anima, ad esempio, è gnosticismo bell’e buono: perciò sono spesso catalogato fra gli gnostici. Il processo d’individuazione, per di più, sviluppa un simbolismo i cui più stretti parenti si trovano nelle concezioni folcloristiche, gnostiche, alchimistiche e in altre concezioni “mistiche” e, last but not least, sciamaniche.
Dal confronto di simili materiali risulta un brulicare di prove “bizzarre”, “stiracchiate”, e chi sfoglia un libro invece di leggerlo cade facilmente nell’illusione di avere a che fare con un sistema gnostico.
In realtà, il processo d’individuazione è quel processo biologico, semplice о complesso a seconda dei casi, attraverso il quale ogni essere vivente diventa quello che è destinato a diventare fin dal principio. Va da sé che questo processo si esprime nell’uomo sia psichicamente che somaticamente. Esso produce ad esempio, dal lato psichico, quei fenomeni di quaternità i cui paralleli si trovano tanto nei manicomi quanto negli scritti gnostici e in altre dottrine bizzarre; e non per ultimo nelle allegorie cristiane.
Non si tratta in alcun modo di speculazioni mistiche, ma di osservazioni cliniche e della loro interpretazione attraverso il confronto con fenomeni affini in altri campi. Non è imputabile alla stravagante fantasia dello studioso di anatomia comparata il fatto che egli scopra altri rapporti stretti tra lo scheletro umano e quello di certi antropoidi africani, dei quali il profano non ha ancora sentito parlare.
È un fatto strano che i miei critici, salvo poche eccezioni, tacciano il particolare che io, come medico, parto da fatti empirici verificabili da chiunque, e mi critichino come se io fossi un filosofo о uno gnostico che vuol far credere di possedere conoscenze soprannaturali. Come filosofo ed eretico speculativo sono facile da confutare e forse per questo si preferisce tacere i fatti da me scoperti e dimostrati, о disconoscerli alla leggera. Quel che mi preme prima di tutto sono i fatti, e non una terminologia provvisoria о tentativi nel campo dell’osservazione teoretica.
Non si può spazzare via il fatto che esistano archetipi dicendo che le rappresentazioni innate non esistono. Non ho mai sostenuto che l’archetipo in sé sia una rappresentazione; ho piuttosto dichiarato esplicitamente che lo considero un modus privo di contenuto determinato. [...]
Lo psicoterapeuta medico non può, a lungo andare, permettersi d’ignorare l’esistenza dei sistemi terapeutici religiosi, se è permesso definire così, per un certo aspetto, la religione; né può il teologo, se ha 'cura animarum', trascurare l’esperienza della psicologia medica.
Non credo debbano sorgere serie difficoltà per quanto riguarda la terapia individuale; dobbiamo invece aspettarcene là dove comincia il confronto tra l’esperienza personale e le verità universali. Nel caso singolo, questa necessità è solita presentarsi, seppure solo dopo molto tempo.
In pratica esistono non pochi casi nei quali la terapia si svolge tutta nel suo proprio campo, senza che si arrivi a esperienze interiori così significative da rendere urgente un confronto tra le convinzioni del paziente e quelle generali.
Fintanto che il paziente rimarrà fermo nell’ambito della fede da lui professata, egli tradurrà quell’esperienza secondo la sua fede, anche se un sogno archetipico lo turba о addirittura lo scuote. Allo scienziato empirico (se è un fanatico della verità) questa operazione sembra assai discutibile, ma essa può essere innocua о perfino finire bene, se è legittima per una persona di questo tipo.
Sono solito raccomandare ai miei allievi di non giudicare tutti allo stesso modo; una popolazione è fatta di strati storici, e comprende individui che da un punto di vista psicologico avrebbero potuto benissimo vivere cinquemila anni prima di Cristo, capaci cioè di continuare a risolvere i loro conflitti come si risolvevano settemila anni fa."
(C. G. Jung, "Prefazione a V. White 'Dio e l'inconscio'" [Tradotta dal tedesco da padre Victor White О. P. per essere pubblicata con la data “maggio 1952” nel libro dello stesso White: God and the Unconscious (Londra 1952), questa introduzione compare qui in forma leggermente riveduta sulla base del manoscritto originale. La prima pubblicazione in tedesco è del 1957.]
 
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